Dichiarazione congiunta delle segreterie di Filt Cgil; Fit Cisl; Uiltrasporti dell’Emilia Romagna su fermo produttivo
Resta ancora molto critica la situazione della filiera della logistica in Emilia-Romagna.
Segnalazioni sulla scarsa sicurezza nelle postazioni di lavoro ci arrivano dalle nostre strutture in ogni angolo della regione: lavoratrici e lavoratori preoccupati e impauriti non potendo attivare lo smart working poiché, banalmente, le merci e gli scatoloni si movimentano manualmente. Nel 90% dei casi parliamo però di beni affatto essenziali: abbigliamento intimo, magliette, pantaloni, profumi, zaini, etc…
Questa confusa situazione è figlia di un paradosso normativo che ha diviso in due l’Emilia-Romagna e sta provocando perplessità non solo tra gli addetti ai lavori. L’ordinanza della Regione del 24 marzo, infatti, è valida solo per Piacenza e Rimini e definisce chiaramente quali sono le attività consentite (dal 25 marzo al 3 aprile).
Le altre province seguono un altro riferimento normativo, il DPCM del 22 marzo che inserisce senza alcuna distinzione la logistica all’interno del “codice Ateco 52”, andando così a vanificare qualsiasi differenziazione tra ciò che è essenziale e e quel che non lo è.
Serve quindi omogeneità su tutto il territorio regionale, richiesta che abbiamo inoltrato in una lettera al presidente della Regione Stefano Bonaccini. L’assessore regionale al Lavoro Vincenzo Colla ha infatti dichiarato essenziali solo quattro filiere: sanitaria, alimentare, energetica e dei servizi essenziali (come i rifiuti o la manutenzione). Tutto il resto si deve fermare per ridurre i movimenti delle persone e quindi il rischio contagio.
È quello che chiediamo venga effettuato in tutta l’Emilia-Romagna, ossia il fermo di tutte le attività produttive, tranne le quattro filiere essenziali. Almeno fino a quando non ci sarà certezza, da parte del Comitato tecnico di supporto al Governo, che il rischio sia alle spalle, che come tutti ci auguriamo avvenga il prima possibile.
Perché è in queste contraddizioni normative che si inseriscono a gamba tesa con i propri studi legali le grandi multinazionali della logistica, veri potentati d’affari, per differire le tempistiche delle chiusure delle attività, impugnando questo o quell’avverbio, questa o quella parola.
Sono prese di mira addirittura le faq dedicate all’emergenza Covid 19 presenti sul sito della Regione Emilia-Romagna, dove in effetti è necessaria una maggiore chiarezza per evitare qualsiasi fraintendimento lessicale. Citiamo un esempio: la risposta alla domanda 20 dell’ordinanza regionale del 24 marzo, quella che chiede se “è ammessa la vendita e la distribuzione di prodotti tramite canale di vendita on line”, non può essere “Sì. Il commercio on line non è sospeso”. Una dicitura simile vanifica ogni sforzo fatto dai sindacati per cercare di ridurre il più possibile il rischio contagio nei depositi della logistica.
Non può nemmeno accadere che spetti al lavoratore prendersi ferie o malattia solo perché l’azienda (o coop che sia) in appalto non apre nessun ammortizzatore sociale in quanto il proprio committente, a sua volta, è “ricattato” da clienti, che altro non sono che i grandi marchi della moda o altri settori sicuramente non equiparabili a “beni essenziali”, che intimano la prosecuzione delle attività, pena l’applicazione di forti penali economiche o la rescissione del contratto commerciale.
Per tutte queste ragioni, siamo convinti che la sicurezza dei lavoratori e delle loro famiglie è un obiettivo di Governo, Regione, sindacati ma anche delle prefetture e dei sindaci che devono unirsi a noi nella segnalazione di quelle attività palesemente non inquadrabili come “beni essenziali”.