«Per la legge sulla violenza sessuale su cui le donne dei vari partiti partivano da posizioni diverse, avremmo trovato un compromesso se non fosse stato per gli uomini che sono intervenuti». Quando Tina Anselmi pronunciò queste parole era la fine degli anni ’80, un’era politica fa.
Mi sono tornate in mente ora all’indomani del premio a lei intitolato poiché fu la prima donna a ricoprire la carica di ministro della Repubblica Italiana con delega al lavoro. Un premio assegnato a 14 splendide donne che si sono distinte nei loro campi.
Senza entrare nel merito di quella legge, né tanto meno del contesto di allora, quell’affermazione è di un’attualità incredibile perché riflette una cultura che, purtroppo, mostra ancora vigore. Ce lo racconta la rete. Da giorni su Facebook, girano due immagini tratte da libri di testo delle elementari.
In una, la più famosa anche perché assurta alle cronache, la mamma è colei che cucina e stira. Il papà è, invece, quello che lavora e legge.
Nel secondo libro di testo, compare un quiz in cui si chiede al bambino o alla bambina di dare una definizione di zitella. Tre le opzioni tra cui scegliere: una frittella; una ragazza bella ma monella; una donna brutta che nessuno vuole.
La grandinata di critiche e condanne su queste due immagini è stata universale. Forse anche di facciata perché si deve.
L’aggravante di tutto ciò risiede nel fatto che l’idea della donna alla base di quelle frasi sia contenuta in libri di testo. Già sarebbe inammissibile in termini assoluti, ma qui stiamo parlando di libri su cui si formano le future generazioni.
Non apro poi il capitolo ‘donne e lavoro’ perché, come sindacato, le nostre denunce sono costanti: dalle dimissioni in bianco alla disparità salariale, dalla mancanza di politiche conciliative sui tempi di vita e lavoro alla scarsità di investimenti che incentivino il lavoro femminile. Non c’è giorno senza che una donna lavoratrice non si rivolga al nostro sindacato, ai nostri delegati, chiedendoci aiuto.
Ma questo 8 marzo, è ancora più amaro del solito perché si è toccato l’apice con la sentenza della Corte di assise di appello di Bologna che ha dimezzato la pena a Michele Castaldo, omicida reo confesso della sua compagna Olga Matei.
In uno dei passaggi chiave del provvedimento si dice, in sostanza, che una ‘tempesta emotiva’ determinata dalla gelosia può attenuare la responsabilità di chi uccide. Con la conseguenza che i 30 anni di condanna inflitti in primo grado a Castaldo, che strangolò la donna a mani nude il 5 ottobre 2016 a Riccione, sono diventati 16 anni. Una decisione poi impugnata dalla procura generale che farà ricorso in Cassazione.
Le sentenze si applicano e si rispettano, ma si possono commentare. E quelle parole messe nere su bianco da un giudice, per di più nel nome del popolo italiano, mi fanno rabbrividire perché sottintendono che nel nostro codice ci sia qualcosa che non funziona anche in termini culturali.
Le leggi, i codici normano, stabiliscono, fissano e riflettono il clima, la cultura, i valori del Paese di quel preciso momento storico. Sono come un fermo-immagine. E’ evidente quindi che quella sentenza stride. E che occorre un intervento parlamentare di modifica.
L’8 marzo è oggi. E da qui il Paese deve ripartire compatto affinché sia l’8 marzo tutto l’anno. Concludo con una frase del Nobel Rita Levi Montalcini: «Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno avuto bisogno di mostrare nulla, se non la loro intelligenza». Lasciamoci guidare dalle donne e rispettiamole di più.